Piano piano il sipario si alzò ovvero L’enigma dell’oracolo

Esplorava i meandri della sua memoria
Aveva vissuto, sì aveva vissuto 
In un vortice di eventi
Di drammi e di gioie
Di successi e di fallimenti
Di inseguimenti e di fughe 
Solo che era stato tutto talmente intenso
Talmente senza fiato
Senza pause
Che ora non ricordava
Semplicemente aveva cancellato ogni cosa 
Così almeno gli pareva  


Chi era quel figlio che gli pareva già nato di vent’anni? E gli altri diciannove? 
Chi era quella compagna con le rughe di trascorsi di dolore? Quando era stato il suo ultimo sguardo di complicità?
E quella vecchia curva sui suoi anni? Com’era quand’era sua madre?


Come se la vita che aveva passato 
fosse quella di un altro
L’alienazione totale di un sè
Che più non conosceva


Ammantato nel suo dolore
Malinconico oracolo 
interprete di arcani segni
In un misto di nostalgia vuota di ricordi
di una vita vissuta dal suo altro
Dal suo alieno
Con l’innocenza di un bimbo
Senza meta
Sciamano del suo passato
Si lasciò andare
E «piano piano, davanti ad ogni ricordo del
passato il sipario si alzò»

La rivelazione ovvero Enigma di un pomeriggio d’autunno

Cosa lo separava dai mari inesplorati della memoria?
Cosa temeva di scoprire?
Perché non squarciare quella tenda?
Abbattere quello scenario?


Il pomeriggio volgeva al termine 
Il crepuscolo anelava alla notte
Un tiepido sole allungava le ombre 
dei suoi dubbi
delle sue angosce 


Pensoso
Guardava l’ignoto
Con la malinconia di chi sa di sapere 
Ma di avere rimosso
Per difesa
Per timore 
Dare vento alle vele del suo passato
Significava abbandonare le sue sicurezze
Il suo ordinario
Per trovare…
Cosa? Per trovare cosa?


Forse gli occorreva incontrare il suo Virgilio
E sprofondare negli inferi
Traghettato da un Caronte comparso alla bisogna
Che di veliero faceva sua barca 
Gironi di memoria perduta


Attese il buio, sospeso di fronte ad una imminente rivelazione. 

Nostalgia ovvero Arianna

Si abbandonò ai suoi sogni
Dove i rimpianti si trasformavano in nostalgia
Dove partire era tornare per scegliere ancora 
Dove il passato era ancora futuro

Sbuffava un treno alll’orizzonte
Un tranquillo assolato meriggio 
che volgeva al tramonto

Che senso aveva avuto
Abbandonare tutto?
Che volto aveva ora sua madre?
Che rughe attraversavano il volto di suo padre?
E chissà dove giaceva ora Asterione, suo fratello, sacrificato all’illusione del suo amore?
Un groppo le stringeva lo stomaco

Arianna, Teseo e il Minotauro secondo J.Borges

Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l’altro, senza che io mi macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me?

Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.
“Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s’è quasi difeso”.

Estratto da Jorge Luis Borges (1899-1986) La casa di Asterione (in Aleph, 1949)

Il redentore di Asterione ovvero La melenconia di Arianna

Avvolto del peplo pensoso
Taciturno
Si rivolse ad Arianna 
A cercare risposte 


Asterione, spaventoso fratello
Rinchiuso in quella casa infinita 
Dove ogni giardino si ripeteva volte infinite
Ogni cisterna era una replica di sè 
Ogni corridoio ritornava alla sua origine 
Sfinito di solitudine
Attendeva il suo liberatore 
Colui che lo avrebbe redento 
Che avrebbe posto fine a quel dolore 
sacrificio 
inflitto per vendetta
subito per destino 


Supplicò Arianna.


Insieme ai compagni, giunse 
A vele ridotte
Agnello sacrificale 
Bello, dagli occhi turchini 
di ghiaccio
Profilo greco
La brezza del mare nei capelli 
Il sole tiepido di aprile


Incroció gli occhi di Lei 
La seduzione come salvezza
Una recita necessaria
Un filo di speranza 
L’unica possibile


Quando Teseo lo vide 
Asterione comprese.


Con la spada insanguinata 
Tornò da lei
Scavalcando 
I corpi dei compagni
Abbandonati a segnare quel percorso di morte
Caduti senza reagire


Illusa d’amore
innamorata dell’amore
Lo seguì sognante


Rinunciare alla propria vita 
Portare in grembo il frutto di quell’amore sbagliato
Volerne morire 


Sull’orlo del baratro
Salvata in ultimo
Da un tiaso
Di baccanti ebbre e sensuali
Di satiri cinti di pelli 
Ritmici ditirambi 
estatici ed ossessivi
tempesta primigenia del cosmo 
in eterno mutamento


Si risvegliò da quell’incubo
Ma non era un sogno
Chiuse forte tre volte gli occhi
Nulla cambiò 


La colse la nostalgia di casa 
Di quella vita sull’isola di Creta
Delle sue fontane
Giardini verdi
La voce protettiva di suo padre
E il volte dolce di sua madre


La colse il dolore per il sacrificio
Di un fratello che implorava liberazione
E morte