Ritratto di un enigma

Brancicare al buio
Della mia cecità presente
Che illumina di risposte
Inaspettate
I giorni andati 
E i futuri a venire


Per esempio
Non ti pensavo un tiro a segno
Non sono un indovino
(Esegeti ripetitivi e scontati)


Solo cercavo in te 
Il mio centro
Il mio bersaglio
La mia strada
La mia meta 


La verità, il senso delle cose
Il senso della vita 
Una scala, un armadio 
Una sedia
Un guanto
Ognuna che rimanda ad altro
Ma altro cosa?
A me par che ad aprirli ad uno ad uno
Ci sia dentro la sorpresa
Il nulla 
O forse il nulla è quello che ci vogliono far credere
Dissimulando ciò che sono
E tu tra i pochi 
Ci vedi quello che ci vedo io
Un non senso 
Che è il senso


La verità è che a noi piacciono gli enigmi
Che dove gli altri ci vedono un biscotto
O una squadra 
Una scatola
Una scacchiera
Beh noi ci divertiamo ad indagare


Ehi, Guillaume
Che dici, amico mio? 
E se la vita fosse solo un’immensa menzogna
l’ombra di un sogno fuggente? 
Se non troviamo nulla
Almeno ci siamo divertiti
E di sicuro non ci siamo accontentati.

Se la tua non è una pipa, allora questo non è un guanto

Causa effetto
Prima e dopo
Proporzione e prospettiva 
Punti di fuga
Cogito ergo sum
Classificazioni e categorie
Consecutio temporum
LA RAGIONE
Tutto ordinato 
Tutto misurato 
Tutto ha un fine 
Tutto uno scopo


E se ti dicessero che non è vero?
Che se entri in acqua ti asciughi?
Se stai al sole ti raffreddi?
Se corri vai più piano?


Se ti dicessero che
Se cerchi perdi?
Se scrivi cancelli?
Se curi uccidi?
Se abbracci odi?
Che il muto urla
Che il cane miagola
Che il sotto è sopra
Che il mare è in aria
Che il ghiaccio brucia?


Guarda il tuo occhio
Annusa il tuo naso
Senti l’orecchio 
Gusta la lingua 
Parla la voce


Ecco, quello non è un guanto 
Ma è solo un guanto
Quella non è una palla
Ma è solo una palla. 
Un immenso museo di stranezze, 
pieno di giocattoli bizzarri, 
variopinti, 
che cambiano aspetto. 


Vedi Renè,
Quello è il non senso
L’enigma del vivere

Qualche info su Renè Magritte

Canto d’amore ovvero la conversione di Renè Magritte

Home » Giorgio DE CHIRICO (http://www.lagiostra.biz/node/453)

Canto d’amore, Giorgio De Chirico, 1914, Olio su tela, cm 73 x 59,1. Museum of Modern Art, New York (USA)

Il quadro ha un fascino misterioso, come quasi tutte le opere metafisiche di De Chirico, perché si presenta come un enigma la cui soluzione non potrà mai essere trovata. In uno spazio urbano, dall’aspetto identico a tante sue «piazze d’Italia», sul fianco di un edificio è collocata una testa enorme, frammento di una statua classica, e un guanto da chirurgo, anch’esso gigantesco; a terra si trova infine una enorme palla verde. Cosa abbiano in comune questi tre elementi fuori scala, non è dato sapere, né cosa abbiano in comune con il titolo «Canto d’amore». Il quadro, pur in linea con la produzione dechirichiana, è di certo il quadro più surrealista da lui prodotto. Non a caso determinò la conversione a questo stile pittorico di René Magritte, che divenne un pittore surrealista proprio dopo aver visto questo quadro di De Chirico.


Racconta Laursen: «Per Magritte fu un vero shock, capì che le cose che aveva in testa potevano essere realizzate nella pittura. Quella raccolta di oggetti apparentemente disuniti presentata nel dipinto formava un canto d’ amore


Si dice che avanti a quest’opera un giovane René Magritte sia scoppiato in lacrime di commozione, che abbia dichiarato di aver “visto” per la prima volta il pensiero e che abbia deciso il suo destino di surrealista. Lo stesso titolo, Canto d’amore, sembra infatti precorrere le strane e singolari scelte del maestro belga riguardo i titoli delle sue opere, sempre spiazzanti ed enigmatici. E alcuni degli oggetti qui raffigurati da De Chirico vivranno, riassemblati, una nuova sorprendente vita in successive tele di Magritte, come La memoria, dipinto nel 1948.

Zarathustra e il Vaticinatore

Altro non sono che il nipote ultimo di Omero
L’erede di Tiresia
Il figlio illegittimo di Edipo. 
Io che vidi senza vedere
Io che cieco brancicavo attorno
A braccetto di Filemazio
Al porto Bosforeion


Son io che lo vidi pazzo
Di scoperte disilluse
Di ragioni contraddette
Per i vicoli della città magica
A scoprire l’occhio in ogni cosa
A cercare segni d’astronomi misteri. 


Filosofi e saggi di regime 
A raccontar di verità 
False e incancrenite


E lui, Zarathustra
Un urlo sordo
Un grido muto
Sibilline immagini
Lacerati versi
Musiche frantumate


Consapevole e impotente
Foriero di verità scomode ai potenti
E vaticini scomodi alle masse

Aura e del Paesaggio Romano

Aura stese il suo sguardo sul mondo
Ogni cosa al suo posto
Apparentemente
Il vocio di una coppia 
Soddisfatta della sua borghese e vuota conversazione
La curiosità delle malelingue
Che di castità loro malgrado
Avevano fatto virtù 
Per condannare altrove
Ciò che a loro non era concesso
Vite che scorrevano immobili
Immobili miti pieni di vita


Come poteva recitare anche lei?
Rifiutare il frutto di un desiderio non voluto
Rifiutare il proprio grembo
Al punto di gettarlo da una rupe
Al punto di farne pasto delle fiere
Al punto di voler morire 


Aura ritrasse lo sguardo dal mondo 
Capì che non lo capiva
E ne ebbe paura 

Il mito di Aura (fonte Wikipedia)