Arianna, Teseo e il Minotauro secondo J.Borges

Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l’altro, senza che io mi macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me?

Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue.
“Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s’è quasi difeso”.

Estratto da Jorge Luis Borges (1899-1986) La casa di Asterione (in Aleph, 1949)

Canto d’amore ovvero la conversione di Renè Magritte

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Canto d’amore, Giorgio De Chirico, 1914, Olio su tela, cm 73 x 59,1. Museum of Modern Art, New York (USA)

Il quadro ha un fascino misterioso, come quasi tutte le opere metafisiche di De Chirico, perché si presenta come un enigma la cui soluzione non potrà mai essere trovata. In uno spazio urbano, dall’aspetto identico a tante sue «piazze d’Italia», sul fianco di un edificio è collocata una testa enorme, frammento di una statua classica, e un guanto da chirurgo, anch’esso gigantesco; a terra si trova infine una enorme palla verde. Cosa abbiano in comune questi tre elementi fuori scala, non è dato sapere, né cosa abbiano in comune con il titolo «Canto d’amore». Il quadro, pur in linea con la produzione dechirichiana, è di certo il quadro più surrealista da lui prodotto. Non a caso determinò la conversione a questo stile pittorico di René Magritte, che divenne un pittore surrealista proprio dopo aver visto questo quadro di De Chirico.


Racconta Laursen: «Per Magritte fu un vero shock, capì che le cose che aveva in testa potevano essere realizzate nella pittura. Quella raccolta di oggetti apparentemente disuniti presentata nel dipinto formava un canto d’ amore


Si dice che avanti a quest’opera un giovane René Magritte sia scoppiato in lacrime di commozione, che abbia dichiarato di aver “visto” per la prima volta il pensiero e che abbia deciso il suo destino di surrealista. Lo stesso titolo, Canto d’amore, sembra infatti precorrere le strane e singolari scelte del maestro belga riguardo i titoli delle sue opere, sempre spiazzanti ed enigmatici. E alcuni degli oggetti qui raffigurati da De Chirico vivranno, riassemblati, una nuova sorprendente vita in successive tele di Magritte, come La memoria, dipinto nel 1948.