Zarathustra e il Vaticinatore

Altro non sono che il nipote ultimo di Omero
L’erede di Tiresia
Il figlio illegittimo di Edipo. 
Io che vidi senza vedere
Io che cieco brancicavo attorno
A braccetto di Filemazio
Al porto Bosforeion


Son io che lo vidi pazzo
Di scoperte disilluse
Di ragioni contraddette
Per i vicoli della città magica
A scoprire l’occhio in ogni cosa
A cercare segni d’astronomi misteri. 


Filosofi e saggi di regime 
A raccontar di verità 
False e incancrenite


E lui, Zarathustra
Un urlo sordo
Un grido muto
Sibilline immagini
Lacerati versi
Musiche frantumate


Consapevole e impotente
Foriero di verità scomode ai potenti
E vaticini scomodi alle masse

Aura e del Paesaggio Romano

Aura stese il suo sguardo sul mondo
Ogni cosa al suo posto
Apparentemente
Il vocio di una coppia 
Soddisfatta della sua borghese e vuota conversazione
La curiosità delle malelingue
Che di castità loro malgrado
Avevano fatto virtù 
Per condannare altrove
Ciò che a loro non era concesso
Vite che scorrevano immobili
Immobili miti pieni di vita


Come poteva recitare anche lei?
Rifiutare il frutto di un desiderio non voluto
Rifiutare il proprio grembo
Al punto di gettarlo da una rupe
Al punto di farne pasto delle fiere
Al punto di voler morire 


Aura ritrasse lo sguardo dal mondo 
Capì che non lo capiva
E ne ebbe paura 

Il mito di Aura (fonte Wikipedia)