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Aspettava un appuntamento ricorrente Lo aspettava Come si aspetta un’oasi nel deserto Come un punto di ripartenza Dove fermarsi Per ritrovare un senso alle cose Credeva fosse ricorrente Era capitato due volte Era diventato ricorrente… nella sua mente Nella sua sola mente E in quel cuore che stentava a battere Aspettava con aria idiota Lo sguardo fisso altrove Tra loro un muro Immaginò nei suoi occhi la disperazione di non poterlo abbattere Forse era solo il riflesso dei propri Impossibile avvicinarsi Senza distruggere ogni equilibrio Senza distruggere la propria vita E la sua E quella di tutti quelli intorno a loro La sfiorava con lo sguardo L’accarezzava col sorriso L’abbracciava con la voce Cosa c’era di sbagliato in quel desiderio? Perché era nato? Come lo poteva negare? Se voleva ancora trovare un po’ di serenità doveva mettere fine a tutto Non doveva coltivarlo Pensarci Ancora La lasciò andare E si accasciò nei suoi pensieri
Mi interessa la luce L’accarezzo e m’accarezza Mi lascio cullare dal suo colore Che non è un colore Perché è il colore di chi incontra È il bianco della casa di legno il marrone del tetto Il verde dell’albero che le sta di fronte Il giallo di grano che al vento si inclina Dà loro vita A loro si adatta Ne scopre la forma Il contorno Il confine Ecco, ogni pezzo a sè Distinto Separato Solo Entra indifferente Di finestra in finestra Su cristallizzati corpi Che guardano assenti Nella solitudine d’una stanza d’albergo Nella routine di un ufficio e del suo ordinato schedario Nella apatia di un dopocena d’una passione finita d’un amore passato Di un tempo che è fermo Nell’attimo eterno D’uno sguardo perso nel vuoto infinito
Esplorava i meandri della sua memoria Aveva vissuto, sì aveva vissuto In un vortice di eventi Di drammi e di gioie Di successi e di fallimenti Di inseguimenti e di fughe Solo che era stato tutto talmente intenso Talmente senza fiato Senza pause Che ora non ricordava Semplicemente aveva cancellato ogni cosa Così almeno gli pareva Chi era quel figlio che gli pareva già nato di vent’anni? E gli altri diciannove? Chi era quella compagna con le rughe di trascorsi di dolore? Quando era stato il suo ultimo sguardo di complicità? E quella vecchia curva sui suoi anni? Com’era quand’era sua madre? Come se la vita che aveva passato fosse quella di un altro L’alienazione totale di un sè Che più non conosceva Ammantato nel suo dolore Malinconico oracolo interprete di arcani segni In un misto di nostalgia vuota di ricordi di una vita vissuta dal suo altro Dal suo alieno Con l’innocenza di un bimbo Senza meta Sciamano del suo passato Si lasciò andare E «piano piano, davanti ad ogni ricordo del passato il sipario si alzò»
Cosa lo separava dai mari inesplorati della memoria? Cosa temeva di scoprire? Perché non squarciare quella tenda? Abbattere quello scenario? Il pomeriggio volgeva al termine Il crepuscolo anelava alla notte Un tiepido sole allungava le ombre dei suoi dubbi delle sue angosce Pensoso Guardava l’ignoto Con la malinconia di chi sa di sapere Ma di avere rimosso Per difesa Per timore Dare vento alle vele del suo passato Significava abbandonare le sue sicurezze Il suo ordinario Per trovare… Cosa? Per trovare cosa? Forse gli occorreva incontrare il suo Virgilio E sprofondare negli inferi Traghettato da un Caronte comparso alla bisogna Che di veliero faceva sua barca Gironi di memoria perduta Attese il buio, sospeso di fronte ad una imminente rivelazione.