Desiderio inibito ovvero Sunlight in a cafeteria – E.Hopper, 1958

Aspettava un appuntamento ricorrente
Lo aspettava
Come si aspetta un’oasi nel deserto
Come un punto di ripartenza
Dove fermarsi
Per ritrovare un senso alle cose
Credeva fosse ricorrente
Era capitato due volte
Era diventato ricorrente… nella sua mente
Nella sua sola mente
E in quel cuore che stentava a battere
Aspettava con aria idiota


Lo sguardo fisso altrove
Tra loro un muro
Immaginò nei suoi occhi la disperazione di non poterlo abbattere
Forse era solo il riflesso dei propri
Impossibile avvicinarsi
Senza distruggere ogni equilibrio
Senza distruggere la propria vita
E la sua
E quella di tutti quelli intorno a loro
La sfiorava con lo sguardo
L’accarezzava col sorriso
L’abbracciava con la voce


Cosa c’era di sbagliato in quel desiderio?
Perché era nato?
Come lo poteva negare?


Se voleva ancora trovare un po’ di serenità doveva mettere fine a tutto
Non doveva coltivarlo
Pensarci


Ancora
La lasciò andare
E si accasciò nei suoi pensieri

Mi interessa la luce ovvero Intro a E.Hopper

Mi interessa la luce

L’accarezzo e m’accarezza
Mi lascio cullare dal suo colore
Che non è un colore
Perché è il colore di chi incontra 
È il bianco della casa di legno
il marrone del tetto
Il verde dell’albero che le sta di fronte
Il giallo di grano che al vento si inclina


Dà loro vita
A loro si adatta
Ne scopre la forma
Il contorno 
Il confine
Ecco, ogni pezzo a sè
Distinto
Separato
Solo

Entra indifferente
Di finestra in finestra
Su cristallizzati corpi
Che guardano assenti 
Nella solitudine d’una stanza d’albergo 
Nella routine di un ufficio 
e del suo ordinato schedario
Nella apatia di un dopocena 
d’una passione finita 
d’un amore passato


Di un tempo che è fermo
Nell’attimo eterno
D’uno sguardo perso 
nel vuoto infinito

Piano piano il sipario si alzò ovvero L’enigma dell’oracolo

Esplorava i meandri della sua memoria
Aveva vissuto, sì aveva vissuto 
In un vortice di eventi
Di drammi e di gioie
Di successi e di fallimenti
Di inseguimenti e di fughe 
Solo che era stato tutto talmente intenso
Talmente senza fiato
Senza pause
Che ora non ricordava
Semplicemente aveva cancellato ogni cosa 
Così almeno gli pareva  


Chi era quel figlio che gli pareva già nato di vent’anni? E gli altri diciannove? 
Chi era quella compagna con le rughe di trascorsi di dolore? Quando era stato il suo ultimo sguardo di complicità?
E quella vecchia curva sui suoi anni? Com’era quand’era sua madre?


Come se la vita che aveva passato 
fosse quella di un altro
L’alienazione totale di un sè
Che più non conosceva


Ammantato nel suo dolore
Malinconico oracolo 
interprete di arcani segni
In un misto di nostalgia vuota di ricordi
di una vita vissuta dal suo altro
Dal suo alieno
Con l’innocenza di un bimbo
Senza meta
Sciamano del suo passato
Si lasciò andare
E «piano piano, davanti ad ogni ricordo del
passato il sipario si alzò»

La rivelazione ovvero Enigma di un pomeriggio d’autunno

Cosa lo separava dai mari inesplorati della memoria?
Cosa temeva di scoprire?
Perché non squarciare quella tenda?
Abbattere quello scenario?


Il pomeriggio volgeva al termine 
Il crepuscolo anelava alla notte
Un tiepido sole allungava le ombre 
dei suoi dubbi
delle sue angosce 


Pensoso
Guardava l’ignoto
Con la malinconia di chi sa di sapere 
Ma di avere rimosso
Per difesa
Per timore 
Dare vento alle vele del suo passato
Significava abbandonare le sue sicurezze
Il suo ordinario
Per trovare…
Cosa? Per trovare cosa?


Forse gli occorreva incontrare il suo Virgilio
E sprofondare negli inferi
Traghettato da un Caronte comparso alla bisogna
Che di veliero faceva sua barca 
Gironi di memoria perduta


Attese il buio, sospeso di fronte ad una imminente rivelazione.