Canto d’amore ovvero la conversione di Renè Magritte

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Canto d’amore, Giorgio De Chirico, 1914, Olio su tela, cm 73 x 59,1. Museum of Modern Art, New York (USA)

Il quadro ha un fascino misterioso, come quasi tutte le opere metafisiche di De Chirico, perché si presenta come un enigma la cui soluzione non potrà mai essere trovata. In uno spazio urbano, dall’aspetto identico a tante sue «piazze d’Italia», sul fianco di un edificio è collocata una testa enorme, frammento di una statua classica, e un guanto da chirurgo, anch’esso gigantesco; a terra si trova infine una enorme palla verde. Cosa abbiano in comune questi tre elementi fuori scala, non è dato sapere, né cosa abbiano in comune con il titolo «Canto d’amore». Il quadro, pur in linea con la produzione dechirichiana, è di certo il quadro più surrealista da lui prodotto. Non a caso determinò la conversione a questo stile pittorico di René Magritte, che divenne un pittore surrealista proprio dopo aver visto questo quadro di De Chirico.


Racconta Laursen: «Per Magritte fu un vero shock, capì che le cose che aveva in testa potevano essere realizzate nella pittura. Quella raccolta di oggetti apparentemente disuniti presentata nel dipinto formava un canto d’ amore


Si dice che avanti a quest’opera un giovane René Magritte sia scoppiato in lacrime di commozione, che abbia dichiarato di aver “visto” per la prima volta il pensiero e che abbia deciso il suo destino di surrealista. Lo stesso titolo, Canto d’amore, sembra infatti precorrere le strane e singolari scelte del maestro belga riguardo i titoli delle sue opere, sempre spiazzanti ed enigmatici. E alcuni degli oggetti qui raffigurati da De Chirico vivranno, riassemblati, una nuova sorprendente vita in successive tele di Magritte, come La memoria, dipinto nel 1948.